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Rionero: Aprile 1502 - Rievocazione storica

Rionero in Vulture | Sabato 10 agosto 2019 | dalle ore 18:30 alle 22:00

 
Rionero: Aprile 1502 - Rievocazione storica
 

Nell’anno 1500 era re di Napoli Federico d’Aragona, discendente di Alfonso il Magnanimo che nel 1442 aveva conquistato il regno con la forza sottraendolo agli ultimi Angioini. Sul trono di Francia sedeva Luigi XII, che considerandosi l’erede di casa D’Angiò e quindi del regno di Napoli, era intenzionato a riprendere la guerra per occuparlo, cosa che era riuscita solo per breve tempo al suo predecessore Carlo VIII tra il 1495 e il 1496, prima di essere ricacciato in Francia dopo varie battaglie combattute anche nelle campagne del Vulture fino all’assedio di Atella nel luglio del 1496, quando i francesi al comando del generale Montpensier si arresero definitivamente alle truppe napoletane, veneziane e spagnole guidate dal Gran Capitano Consalvo di Cordova. Per raggiungere il suo obiettivo, Luigi XII cercò l’alleanza del re di Spagna Ferdinando il Cattolico, col quale l’11 novembre del 1500 stipulò il trattato segreto di Granada che stabiliva l’occupazione del regno di Napoli per dividerlo: alla Francia sarebbero andate la Campania, l’Abruzzo e il Molise, mentre la Spagna, che già possedeva la Sicilia, avrebbe avuto la Calabria e la Puglia. Nell’estate del 1501 l’impresa ottenne un successo quasi immediato, ma presto tra gli occupanti nacquero dissidi sulle modalità di spartizione delle regioni conquistate: non era chiaro a chi dovessero appartenere la Basilicata e la Capitanata. Soprattutto quest’ultima era particolarmente ambita perché comprendeva le pianure del Tavoliere dove i pastori di ogni parte del regno “menavano” il bestiame nei mesi invernali, pagando svariate tasse che insieme formavano una delle maggiori entrate delle casse dello stato.

“Disputandosi dunque in questo modo, con l’armi apparecchiate dall’una e l’altra parte”, scrisse Paolo Giovio in una biografia del Gran Capitano pubblicata a Firenze cinquant’anni dopo, francesi e spagnoli decisero di incontrarsi per “dichiarare l’accordo e l’equità del Regno diviso”. Alla fine di marzo 1502 i francesi guidati dal duca di Nemours erano a Melfi. Le truppe spagnole guidate da Consalvo di Cordova erano accampate ad Atella. “Insieme decisero di abboccarsi in un certo romitaggio di Sant’Antonio, che stava a mezza strada tra l’una e l’altra città; ed ivi si trovarono il primo giorno di aprile”, precisò il cronista spagnolo dei fatti Geronimo Zurita2. Quel luogo “visitato molto per divozione” non è indicato nelle Carte Aragonesi della biblioteca nazionale di Francia che si fanno risalire all’ultimo decennio del XV secolo, dove compare, invece, tra Barile e Atella, un “casale albanese” raffigurato con cinque case, con molta probabilità Rionero che a quell’epoca cominciava a ripopolarsi di quei profughi. La piccola chiesetta, intitolata al Santo protettore dal fuoco di Sant’Antonio, esisteva già da alcuni secoli. Nel 1425 era stata concessa dal vescovo di Rapolla ad alcuni frati del Terzo Ordine Regolare di San Francesco, de poenitentia nuncupati, insieme al conventino annesso di poche celle con refettorio e dormitorio4. Papa Nicolò V nel 1455 confermò quella disposizione anche per gli anni a venire, ma non sappiamo se a celebrare la messa del 1 aprile 1502 fu un francescano o un prete diocesano, nominato rettore del romitaggio dal vescovo di Rapolla.

C’erano quel giorno, in compagnia del Gran Capitano, Tommaso Malferit e Giovanni Claner con gli uomini del seguito venuti da Atella. Col duca di Nemours erano arrivati da Melfi Rodolfo de Launay, Balì di Myans, gran camerlengo del regno, con altri francesi che li accompagnavano, “e tutti si incontrarono con dimostrazioni di affetto e di fratellanza, quali occorrevano affinché fosse di pubblica ragione la buona amicizia che era tra i loro principi”. “Si convenne di tenere fede alla concordia ed ai patti già stretti fra’ due sovrani, stabilendosi che nel giorno seguente alcuni di parte spagnola andassero a Melfi, perché alla presenza del duca e dei suoi consiglieri dicessero ciò che si voleva in favore di re Ferdinando, e un altro giorno alcuni di parte francese si recassero in Atella”. Ma “sembrando al gran Capitano non essere conveniente, per la nota mala indole dei francesi, che a Melfi fossero né il Malferit, né il Claner, inviò al campo il dottor di Jaen, messer Troiano de Bitontis, messer Giovanni del Tufo: e costoro dichiararono apertamente quanto bisognava, mostrando con antiche scritture che Capitanata era in Puglia e per conseguenza di spettanza del re Cattolico”. Ad Atella “da parte del re di Francia furono in messere Giulio de Scorziatis, messere Camillo suo fratello, messer Michele Riccio e un segretario francese: e così dagli uni come dagli altri si allegò tutto quello che rispettivamente servisse a giustificare la propria causa e convalidare il proprio diritto: e i francesi vennero nella conclusione che a fin di rendere più salda la comune amicizia fosse necessario spartire la provincia” e dividersi le entrate della Dogana delle pecore del Tavoliere.

Sia a Melfi che ad Atella, però, le due parti non trovarono una soluzione condivisa. Si rese necessario, perciò, un altro incontro presso la chiesa di Sant’Antonio, ma anche questo si concluse senza accordi. “Così, senza conchiuder nulla, e l’uno nell’altro si partirono dal romitaggio di Sant’Antonio”.

La guerra tra francesi e spagnoli riprese ancora più cruenta. Nelle campagne pugliesi furono combattute la Disfida di Barletta e la Battaglia di Cerignola in cui il duca di Nemours perse la vita. A dicembre 1503 la battaglia del Garigliano sancì la definitiva vittoria degli spagnoli.

Quattrocento anni dopo, Giovanni Bovio e Giustino Fortunato dettarono il testo della lapide che ancora oggi si può leggere sulla facciata della chiesa.


[di Franco Pietrafesa da www.rioneroedintorni.it]

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